L’esofago è il tratto dell’apparato digerente attraverso cui gli alimenti e i liquidi che ingeriamo passano dalla gola allo stomaco, grazie ai movimenti di contrazione che spingono il cibo verso il basso fino al cardias, che è la valvola che separa l’esofago dallo stomaco e impedisce al cibo e ai succhi gastrici di risalire.

Proprio per questa sua funzione, il tumore che colpisce l’esofago esordisce precocemente con dei disturbi della deglutizione (disfagia) inizialmente per i cibi solidi e poi progressivamente anche per i liquidi. Questo determina difficoltà ad alimentarsi e quindi un graduale calo di peso.

Si distinguono due diverse tipologie di tumore:

  • il carcinoma a cellule squamose, che si sviluppa di solito nella parte superiore e centrale dell’esofago. Rappresenta circa il 60% di tutti i tumori esofagei;
  • l’adenocarcinoma, che origina dalle ghiandole della mucosa e che si sviluppa più frequentemente in corrispondenza della giunzione che separa lo stomaco dall’esofago (cardias).. Questo tipo di neoplasia costituisce circa il 30% dei tumori esofagei.

La posizione del tumore è molto importante perché condiziona la possibilità di operare e la tecnica di intervento utilizzabile.

 Evoluzione

La classificazione in stadi dei tumori dell’esofago segue il sistema TNM (dove la sigla T si riferisce al tumore primitivo, la N è relativa all’interessamento dei linfonodi e la M alla presenza di metastasi a distanza).

Esiste anche una classificazione semplificata per stadi (dal I al IV).

  • Stadio 0 (carcinoma in situ): il tumore è in stadio iniziale e interessa solo i primi strati delle cellule della mucosa esofagea. Questo stadio è anche detto carcinoma in situ.
  • Stadio I: il tumore si è diffuso oltre la mucosa invadendo lo strato muscolare della parete esofagea, ma non si è diffuso ai tessuti adiacenti, né ai linfonodi, né ad altri organi.
  • Stadio IIA: il tumore ha invaso lo strato muscolare o la parete esterna (avventizia) dell’esofago senza interessamento dei linfonodi.
  • Stadio IIB: il tumore ha invaso fino alla tonaca muscolare e interessa i linfonodi regionali.
  • Stadio III: il tumore ha invaso la parete esterna dell’esofago e potrebbe aver coinvolto anche i tessuti o i linfonodi adiacenti, ma non ha dato metastasi a distanza.
  • Stadio IV: stadio IVA: il tumore ha invaso i linfonodi regionali o distali; stadio IVB: il tumore ha invaso i linfonodi distali e/o altri organi.

 Chi è a rischio

Le cause che possono determinare la malattia sono diverse: alcune sono genetiche, altre legate alla dieta, altre allo stile di vita e altre ancora sono di origine infiammatoria.

  • Fattori genetici: il tumore dell’esofago, nella forma squamocellulare, compare in quasi tutti i pazienti affetti da tilosi palmare e plantare, una rara malattia ereditaria contraddistinta da ispessimento della pelle delle palme delle mani e delle piante dei piedi (ipercheratosi) e da papillomatosi dell’esofago, ovvero dalla formazione di piccole escrescenze dette appunto papillomi.
  • Alcol e tabacco: sono tra i fattori di rischio più rilevanti, dato che in Europa e Stati Uniti l’80-90% dei tumori esofagei è provocato dal consumo di alcol e tabacco, fumato o masticato. I fumatori hanno probabilità di ammalarsi 5-10 volte maggiori rispetto ai non fumatori, a seconda del numero di sigarette fumate e degli anni di abitudine al fumo, i cui effetti vengono moltiplicati dall’alcol. Quest’ultimo, infatti, oltre ad agire come causa tumorale diretta, potenzia l’azione cancerogena del fumo, e le persone che consumano sigarette e alcol insieme hanno un rischio di ammalarsi di cancro esofageo aumentato fino a 100 volte.
  • Dieta: una dieta povera di frutta e verdura, alimenti e bevande bollenti e un ridotto apporto di vitamina A possono aumentare il rischio di tumore dell’esofago. Una dieta ricca di grassi, e il conseguente aumento del grasso corporeo, influisce direttamente sul livello di molti ormoni che creano l’ambiente favorevole per l’insorgenza dei tumori (carcinogenesi). Il sovrappeso e l’obesità si associano spesso a reflusso gastroesofageo con un conseguente rischio di sviluppare la patologia dell’esofago di Barrett (che si riscontra nell’8-20% dei portatori di malattia da reflusso gastroesofageo).
  • Fattori infiammatori: l’infiammazione cronica della mucosa che riveste l’esofago aumenta il rischio. La forma più frequente è l’esofagite peptica, cioè l’infiammazione cronica della parte terminale dell’esofago causata dal reflusso di succhi gastrici acidi dovuta a una tenuta difettosa della giunzione che separa l’esofago dallo stomaco. L’irritazione cronica fa sì che, a lungo andare, l’epitelio dell’esofago (ovvero il tessuto di rivestimento interno dell’organo) venga sostituito da uno simile a quello dello stomaco, sul quale poi si può sviluppare il tumore. Questa situazione prende il nome di “esofago di Barrett” ed è considerata una vera e propria precancerosi, che richiede talvolta anche il ricorso alla chirurgia al fine di evitare la completa trasformazione dell’epitelio in maligno.

 Quanto è diffuso

Il tumore dell’esofago è il sesto tumore più comune nei paesi non industrializzati, mentre è al diciottesimo posto nei paesi industrializzati, e colpisce prevalentemente i maschi (è tre volte più frequente negli uomini che nelle donne, con 1.500 casi stimati l’anno in Italia contro 600 nel sesso femminile).

Si sviluppa nella maggior parte dei casi dopo la sesta decade di vita. L’incidenza geografica è variabile: i paesi orientali, tra cui la Cina e Singapore, sono quelli dove la mortalità è più elevata e i casi sono circa 20-30 l’anno ogni 100.000 abitanti. In Italia il tasso di incidenza annuo è di circa 4 casi su 100.000.

Poiché si tratta di una forma di cancro molto aggressiva, la mortalità è abbastanza elevata.

 Prevenzione

Evitare alcol e fumo sono le principali precauzioni per prevenire la forma squamocellulare di tumore dell’esofago.

Per quanto riguarda invece l’adenocarcinoma, nella maggioranza dei casi si sviluppa da un’esofago di Barrett, e quindi la maniera più efficace di prevenirlo è quella di ridurre il rischio di reflusso gastroesofageo che provoca l’esofagite cronica: ciò si ottiene riducendo il consumo di caffè, di alcol e di sigarette, ma anche il sovrappeso e l’obesità.

Sebbene diversi farmaci antiacidi siano in grado di controllare i sintomi da reflusso, non ci sono finora dimostrazioni scientifiche di una loro efficacia nel ridurre la comparsa dell’esofago di Barrett. Pur non essendo disponibili esami di screening nei pazienti sani, la diagnosi precoce diventa estremamente importante una volta che l’esofago di Barrett si è sviluppato, per cogliere in tempo la sua eventuale trasformazione maligna.

Nei pazienti in cui la mucosa esofagea si è semplicemente trasformata in mucosa gastrica (metaplasia) è consigliata un’endoscopia ogni due o tre anni. Viceversa, nei pazienti in cui le cellule trasformate mostrino segni di anormalità (displasia) si raccomanda di ripetere l’endoscopia almeno due volte a distanza di sei mesi e poi una volta l’anno.

Infine, se il grado di displasia è elevato (cioè se le cellule sono molto trasformate), è consigliabile l’asportazione endoscopica o addirittura l’intervento chirurgico, dato che si tratta di condizione precancerosa a elevato rischio di trasformazione maligna.

 Sintomi

Quasi sempre i sintomi iniziali del tumore dell’esofago sono la perdita progressiva di peso preceduta dalla disfagia, cioè dalla difficoltà a deglutire, che di solito compare in modo graduale prima per i cibi solidi e successivamente per quelli liquidi. Questi sintomi sono riferiti dal 90% dei pazienti.

Inoltre, la crescita del tumore verso l’esterno dell’esofago può provocare un calo o un’alterazione del tono di voce perché coinvolge i nervi che governano l’emissione dei suoni, oppure indurre una paralisi del diaframma o, ancora, un dolore al torace, appena dietro lo sterno, se coinvolge la zona tra cuore, polmoni, sterno e colonna vertebrale.

Negli stadi più avanzati di sviluppo del tumore la capacità di assumere cibo può diventare faticosa. Se il tumore è ulcerato, la deglutizione potrebbe anche diventare dolorosa. Quando la massa del tumore ostacola la discesa del cibo lungo l’esofago si possono verificare episodi di rigurgito.

Nelle forme più avanzate possono inoltre ingrossarsi i linfonodi del collo e sopra la clavicola, oppure può formarsi del liquido nel rivestimento del polmone (versamento pleurico) con comparsa di dispnea (difficoltà a respirare), oppure ancora possono comparire dolori alle ossa o un aumento delle dimensioni del fegato: la causa di questi sintomi è in genere legata alla presenza di metastasi. I dati prodotti dal Registro italiano tumori segnalano una sopravvivenza a 5 anni che in media non supera il 12% se la malattia è stata diagnosticata in fase avanzata, mentre è molto più elevata se scoperta in fase iniziale.

 Diagnosi

Nei pazienti che presentano sintomi la diagnosi richiede una radiografia dell’esofago con mezzo di contrasto e un’endoscopia esofagea (l’esofagogastroscopia), esami che consentono di vedere l’eventuale lesione e di ottenere materiale per un esame approfondito delle cellule. L’associazione delle due procedure aumenta la sensibilità diagnostica al 99%: la radiografia serve a escludere la presenza di malattie associate, ma l’esofagogastroscopia è l’esame a maggiore valore diagnostico, in quanto permette di visualizzare direttamente le strutture e di eseguire prelievi per la biopsia.

L’ecoendoscopia è invece un altro tipo di esame che consente di determinare in maniera più accurata quanto è profonda l’infiltrazione degli strati della parete esofagea e può evidenziare anche linfonodi interessati da metastasi.

Una volta individuato il tumore, a completamento degli esami diagnostici è opportuno fare una radiografia del torace e una tomografia computerizzata (TC) del torace e dell’addome per escludere la presenza di metastasi a distanza.

L’individuazione esatta dell’estensione e della diffusione della malattia è il passaggio cruciale ai fini della selezione del trattamento appropriato per ciascun paziente. Gli esami di stadiazione includono:

  • TAC: solitamente è il primo passo nella stadiazione del tumore dell’esofago e, più in generale, di tutte le neoplasie. E’ un esame radiologico computerizzato che fornisce immagini assiali del corpo umano con possibilità di ricostruzioni secondo tutti i piani dello spazio e anche tridimensionali.
  • Tomografia a Emissione di Positroni (PET): è un esame che richiede l’uso di una piccola quantità di glucosio radioattivo allo scopo di evidenziare le cellule tumorali in rapida crescita e di rilevare alterazioni altrimenti invisibili con altre metodiche, soprattutto utile nella diagnostica delle metastasi a distanza.

 Come si cura

Per curare il tumore dell’esofago si ricorre, in primo luogo, alla chirurgia. È però difficile operare le lesioni del terzo superiore dell’esofago, oppure i casi in cui il tumore ha già coinvolto gli organi vicini come trachea e bronchi. Controindicano talvolta l’operazione anche le metastasi a distanza, le condizioni generali di salute precarie oppure la presenza di altre malattie.
Nelle forme iniziali è possibile persino ricorrere alla chirurgia laparoscopica. Nelle forme molto superficiali e iniziali, il tessuto tumorale può essere distrutto con il laser o resezioni endoscopiche.

L’intervento vero e proprio di solito consiste nell’asportazione del tratto di esofago interessato dal tumore, di un pezzetto dello stomaco e dei linfonodi regionali, procedura chiamata in gergo medico “esofagogastrectomia parziale con linfoadenectomia regionale”.

Nei casi operabili ma localmente avanzati o con sospette metastasi ai linfonodi può essere indicata la chemioterapia, eventualmente associata alla radioterapia, prima dell’intervento chirurgico (terapia neoadiuvante). I farmaci più usati sono il cisplatino e il 5-fluorouracile, talvolta con l’aggiunta di epirubicina. Il 60-80% dei tumori esofagei presenta una sovraespressione di EGFR (recettore del fattore di crescita dell’epidermide), che può essere bersaglio di farmaci biologici. Sono in corso alcune sperimentazioni con cetuximab e anche con farmaci che inibiscono l’angiogenesi come il bevacizumab. Nei tumori che presentano una sovraespressione del gene HER2 è possibile ricorrere al trastuzumab.

Infine i pazienti in fase avanzata con difficoltà a deglutire e dolore, nei quali non è proponibile né il trattamento chirurgico né quello chemio-radioterapico, possono trarre beneficio da cure palliative che permettano un adeguato supporto alimentare. Queste possono consistere nel posizionamento per via endoscopica di un tubo rigido in plastica, silicone o anche in metallo attraverso l’esofago che consenta il passaggio del cibo, oppure la laser-terapia, che consiste nell’uso di un raggio laser diretto sul tumore per ricreare il passaggio.