L’intestino è l’organo deputato all’assorbimento delle sostanze nutritive che provengono dall’alimentazione. Esso ha una lunghezza di circa 7 metri (ma può variare dai 4 ai 10 metri o anche più) ed è suddiviso in intestino tenue, o piccolo intestino (a sua volta ripartito in duodeno, digiuno e ileo), e intestino crasso, o grosso intestino. Quest’ultima parte è formata dal colon destro o ascendente (con l’appendice), dal colon trasverso, dal colon sinistro o discendente, dal sigma e dal retto.
Il tumore del colon-retto è dovuto alla proliferazione incontrollata delle cellule della mucosa che riveste internamente questo organo. C’è anche chi distingue tra tumore del colon vero e proprio e tumore del retto, ovvero dell’ultimo tratto dell’intestino, in quanto possono manifestarsi con modalità e frequenze diverse.
Noi ci occupiamo della diagnosi e del trattamento del cancro colo-rettale, oltre che di forme ereditarie di questa malattia, quali poliposi familiare adenomatosa, sindrome di Lynch (o cancro ereditario non poliposico) e sindrome di Peutz-Jeghers.
Come tutti i programmi oncologici, anche quello del “cancro colorettale” è tipicamente multidisciplinare e si basa sull’integrazione clinico-professionale di endoscopisti, chirurgi e oncologi, sulla qualità dei servizi diagnostici di Anatomia Patologica e Radiologia, nonché sulla disponibilità di radiologi interventisti, radioterapisti e nutrizionisti nei casi che richiedano queste competenze. La finalità complessiva di questo approccio è fornire ai pazienti le migliori opportunità di prevenzione, diagnosi e cura.
Tipologie
La maggior parte dei tumori del colon-retto deriva dalla trasformazione in senso maligno di polipi, ovvero di piccole escrescenze dovute al proliferare delle cellule della mucosa intestinale. I polipi sono considerati forme precancerose, sebbene rientrino nelle patologie benigne. Il polipo può essere definito, in base alle sue caratteristiche, sessile (cioè con la base piatta) o peduncolato (ovvero attaccato alla parete intestinale mediante un piccolo gambo).
Non tutti i polipi, però, sono a rischio di malignità. Ve ne sono infatti tre diversi tipi: i cosiddetti polipi iperplastici (cioè caratterizzati da una mucosa a rapida proliferazione), amartomatosi (detti anche polipi giovanili e polipi di Peutz-Jeghers) e adenomatosi. Solo questi ultimi costituiscono lesioni precancerose e di essi solo una piccola percentuale si trasforma in neoplasia maligna.
La probabilità che un polipo del colon evolva verso una forma invasiva di cancro dipende dalla dimensione del polipo stesso: è minima (inferiore al 2%) per dimensioni inferiori a 1,5 cm, intermedia (2-10%) per dimensioni di 1,5-2,5 cm e significativa (10%) per dimensioni maggiori di 2,5 cm. Una volta trasformatasi in tessuto canceroso, la mucosa intestinale può presentarsi con caratteristiche diverse a seconda dell’aspetto visibile al microscopio, e di conseguenza prendere un nome diverso: adenocarcinoma, adenocarcinoma mucinoso, adenocarcinoma a cellule ad anello con castone, carcinoma (più raro). Inoltre tutti i cancri del colon-retto possono avere un aspetto a polipo, a nodulo oppure manifestarsi con ulcere della mucosa.
Evoluzione
È possibile determinare con un prelievo di sangue i valori di CEA (antigene carcino-embrionario): questo marcatore, di scarsa utilità nella diagnosi precoce e nello screening, riveste invece un ruolo importante per valutare la gravità e l’andamento della malattia, in quanto la concentrazione è direttamente collegata all’estensione del cancro. Il CEA è anche utile nel monitoraggio della risposta al trattamento farmacologico (scende infatti se la chemioterapia è efficace) o per la verifica della ripresa della malattia (risale in caso di ricadute). Oltre al CEA viene utilizzato anche un altro marcatore, meno specifico (è più indicativo nel cancro del pancreas), il CA 19.9 detto anche GIKA.
Per lo studio della gravità del tumore viene oggi utilizzata anche l’analisi genetica, alla ricerca di alcuni geni mutati che sono indicativi di una prognosi peggiore.
Contrariamente agli altri tipi di cancro, per i quali esiste una classificazione pressoché univoca, per il tumore del colon-retto esistono diverse forme di classificazione, sulle quali non sempre i diversi medici concordano. La più usata resta comunque quella che si riferisce al sistema TNM (dove T sta per la dimensione del tumore, N per il numero di linfonodi coinvolti e M per le metastasi).
Chi è a rischio
Molte sono le cause che concorrono a determinare la malattia: tra esse ne sono state individuate alcune legate alla dieta e all’alimentazione, altre genetiche e altre di tipo non ereditario.
- Fattori nutrizionali: molti studi dimostrano che una dieta ad alto contenuto di calorie, ricca di grassi animali e povera di fibre è associata a un aumento dei tumori intestinali; viceversa, diete ricche di fibre (cioè caratterizzate da un alto consumo di frutta e vegetali) sembrano avere un ruolo protettivo.
- Fattori genetici: è possibile ereditare il rischio di ammalarsi di tumore del colon-retto se nella famiglia d’origine si sono manifestate alcune malattie che predispongono alla formazione di tumori intestinali. Tra queste sono da segnalare le poliposi adenomatose ereditarie (tra cui l’adenomatosi poliposa familiare o FAP, la sindrome di Gardner e quella di Turcot) e quella che viene chiamata carcinosi ereditaria del colon-retto su base non poliposica (detta anche HNPCC o sindrome di Lynch). Si tratta di malattie trasmesse da genitori portatori di specifiche alterazioni genetiche, e che possono anche non dar luogo ad alcun sintomo. La probabilità di trasmettere alla prole il gene alterato è del 50 per cento, indipendentemente dal sesso.
- Fattori non ereditari: sono importanti l’età (l’incidenza è 10 volte superiore tra le persone di età compresa tra i 60 e i 64 anni rispetto a coloro che hanno 40-44 anni), le malattie infiammatorie croniche intestinali (tra le quali la rettocolite ulcerosa e il morbo di Crohn), una storia clinica passata di polipi del colon o di un pregresso tumore del colon-retto. Polipi e carcinomi che non rientrano tra le sindromi ereditarie illustrate sopra vengono definiti “sporadici”, sebbene anche in questo caso sembra vi sia una certa predisposizione familiare. Si stima che il rischio di sviluppare un tumore del colon aumenti di 2 o 3 volte nei parenti di primo grado di una persona affetta da cancro o da polipi del grosso intestino
Quanto è diffuso
Nei Paesi occidentali il cancro del colon-retto rappresenta il secondo tumore maligno per incidenza e mortalità , dopo quello della mammella nella donna e il terzo dopo quello del polmone e della prostata nell’uomo.
La malattia, abbastanza rara prima dei 40 anni, è sempre più frequente a partire dai 60 anni, raggiunge il picco massimo verso gli 80 anni e colpisce in egual misura uomini e donne. In Italia, si stima che questo tumore colpisca circa 40.000 donne e 70.000 uomini ogni anno. L’incidenza è in aumento nella popolazione femminile per via delle abitudini di vita sempre più uniformi tra i due sessi.
Negli ultimi anni, come detto prima, si è assistito a un aumento del numero di tumori, ma anche a una diminuzione della mortalità, attribuibile soprattutto a un’informazione più adeguata, alla diagnosi precoce e ai miglioramenti nel campo della terapia.
Prevenzione
La prevenzione ideale, cosiddetta primaria, si basa sulla correzione dei fattori di rischio eliminabili (dieta, mancanza di attività fisica, fumo, alcol…). Se una persona sa di essere a rischio elevato perché ha avuto parenti con questo tumore in uno o l’altro dei rami familiari, è opportuno che adotti una dieta con pochi grassi e poca carne e ricca di fibre, vegetali e frutta.
La prevenzione di maggior impatto è però quella che passa attraverso la rimozione delle lesioni precancerose (polipi) che possono precedere di anni lo sviluppo del tumore. L’identificazione precoce di queste lesioni, o almeno la diagnosi precoce di cancro guaribile, è alla base dei programmi di screening rivolti alla popolazione generale.
In Italia sono attivi Programmi Regionali di screening di popolazione che si basano sulla ricerca di sangue occulto nelle feci, ogni 2 anni, nei soggetti di età superiore a 50 anni. Se il test risulta positivo, diventa obbligatorio sottoporsi a una colonscopia che confermi o escluda un tumore quale causa della positività al test.
La ricerca del sangue occulto nelle feci è in grado di identificare il 25% circa dei cancri del colon-retto. È raccomandata per tutti gli individui tra i 50 e i 75 anni di età, con cadenza biennale. Se viene associata a una colonscopia (ovvero a un esame del colon con un apposito tubo flessibile), effettuata ogni 10 anni dopo i 50 anni di età, è in grado di individuare il 75% dei tumori.
È invece certo che tutti coloro che manifestano sintomi intestinali compatibili con la diagnosi di tumore del colon e coloro che hanno avuto un familiare con queste patologie devono eseguire una colonscopia completa. In questo caso l’esame viene ripetuto più frequentemente, in genere ogni cinque anni, mentre la ricerca del sangue occulto nelle feci viene fatta ogni anno.
Attenzione particolare allo screening per il cancro colorettale dovrebbero avere i soggetti che hanno familiarità (parenti di I° grado) per questo tipo di tumore. Le linee-guida internazionali vigenti raccomandano che queste persone anticipino a 40 anni l’esecuzione della prima colonscopia.
Sintomi
Nella maggior parte dei casi i polipi non danno sintomi; solo nel 5% dei casi possono dar luogo a piccole perdite di sangue rilevabili con un esame delle feci per la ricerca, come detto, del cosiddetto “sangue occulto”.
Il tumore del colon-retto si manifesta, nella metà dei casi, nel sigma (ovvero nell’ultima parte del colon vero e proprio) e nel retto; in un quarto di malati è il colon ascendente a essere colpito, mentre la localizzazione della malattia nel colon trasverso e in quello discendente si verifica in un caso su cinque circa.
Al momento della diagnosi, circa un terzo dei malati presenta già metastasi a livello del fegato e, comunque, una parte delle persone colpite andrà incontro a una diffusione della malattia a livello del fegato, perché i due organi sono strettamente collegati dal punto di vista della circolazione sanguigna. I sintomi sono molto variabili e condizionati da diversi fattori quali la sede del tumore, la sua estensione e la presenza o assenza di ostruzioni o emorragie: ciò fa sì che le manifestazioni del cancro siano sovente sovrapponibili a quelle di molte altre malattie addominali o intestinali. Per questo sintomi precoci, vaghi e saltuari quali la stanchezza e la mancanza di appetito, e altri più gravi come l’anemia e la perdita di peso, sono spesso trascurati dal paziente. Talora una stitichezza ostinata, alternata a diarrea, può costituire un primo campanello d’allarme.
Diagnosi
Il tumore del colon-retto viene oggi diagnosticato sempre più precocemente grazie alle campagne di screening sulla popolazione a rischio.
Esistono poi diverse indagini strumentali che permettono di diagnosticare il tumore e, in seguito, di eseguirne la stadiazione, per valutarne l’estensione.
L’esame più specifico è la colonscopia che, grazie alla possibilità di eseguire una biopsia, consente di fare subito l’analisi istologica, ovvero l’esame del tessuto.
Per il tumore del retto, possono risultare utili per stabilire il percorso terapeutico anche:
- risonanza magnetica (RMN): consente di riconoscere con accuratezza la diffusione o l’infiltrazione della malattia nelle strutture adiacenti (mesoretto, vasi, linfonodi), la dissociabilità rispetto a queste strutture, l’eventuale presenza di malattia negli organi pelvici. È un esame non invasivo, che prevede soltanto il posizionamento di una piccola sonda nel retto per iniettare un particolare tipo di contrasto.
- ecoendoscopia (EUS): è una metodica che si avvale di una minuscola sonda a ultrasuoni, introdotta nel retto attraverso un endoscopio. Gli ultrasuoni penetrano in profondità nei tessuti, rivelando così l’eventuale diffusione del tumore nei vari strati della parete intestinale e lo stato dei linfonodi regionali. L’ecoendoscopia permette anche di effettuare biopsie di questi linfonodi.
- Inoltre ci si può avvalere anche della TC addome con mezzo di contrasto: essa permette di valutare i rapporti con gli organi circostanti, lo stato dei linfonodi e le eventuali metastasi presenti nell’addome. Per identificare l’esistenza di metastasi a distanza si può fare una radiografia del torace (o una TC torace, se indicata), un’ecografia epatica, una scintigrafia ossea e la biopsia di eventuali lesioni. Talvolta vengono utilizzati a questo scopo anche la risonanza magnetica o la PET (tomografia a emissione di positroni).
La stadiazione anatomo-patologica, invece, avviene attraverso l’analisi dei linfonodi asportati insieme al tumore e guida all’esecuzione o meno di chemioterapia postoperatoria.
Colonscopia virtuale
Negli ultimi anni lo straordinario miglioramento della sensibilità della tomografia assiale computerizzata (TAC) e lo sviluppo di software dedicati all’analisi dell’immagine hanno consentito di proporre questa tecnica come alternativa alla colonscopia tradizionale.
La colonscopia virtuale utilizza immagini acquisite mediante macchine TAC di ultima generazione che vengono poi elaborate dal computer allo scopo di fornire un’analisi dettagliata della superficie interna del colon, senza dover introdurre un colonscopio. Immediatamente prima dell’esame è necessario insufflare l’intestino, attraverso una piccola sonda inserita nel retto, con aria o meglio con CO2, senza alcun fastidio per il paziente. La preparazione all’esame, che fino a qualche tempo fa era identica a quella per la colonscopia e quindi costituiva la parte più fastidiosa della procedura, è oggi molto più leggera e assolutamente ben tollerata. L’esame può essere particolarmente vantaggioso per le persone anziane e per coloro che per qualsiasi motivo sono impossibilitate a sottoporsi alla colonscopia.
La colonscopia virtuale, se eseguita da radiologi esperti, è accurata tanto quanto la colonscopia nell’individuazione dei polipi e dei tumori, anche se naturalmente non permette di asportare i polipi o eseguire biopsie. Inoltre la colonscopia virtuale, nel caso di individuazione di un tumore del colon, consente una stadiazione immediata della malattia mediante l’analisi di tutte le strutture esterne all’intestino (linfonodi, fegato).
Come si cura
La chirurgia è la forma più frequente ed efficace di trattamento del tumore colorettale. Il tipo di intervento è scelto in base allo stadio della malattia:
- La chirurgia delle lesioni precoci
La mucosectomia endoscopica, di recente introduzione nella pratica clinica, consente la rimozione dei tumori più superficiali, limitati alla mucosa.
Se il patologo determina che il tumore è stato rimosso completamente, non sarà necessario sottoporsi ad altre cure.
In caso di tumori nel retto, in stadio iniziale e non asportabili durante la colonscopia, viene effettuta l’asportazione transanale con tecnica endoscopica microchirurgica (TEM) che consente la rimozione di queste neoformazioni con un elevato indice di sicurezza.
- La chirurgia del tumore invasivo
Se il tumore ha invaso gli strati profondi della parete del colon o non è possibile rimuovere la lesione durante una coloscopia, allora è necessario asportare parte del grosso intestino. Questo intervento consiste nel rimuovere la porzione di colon interessata dal tumore e un margine di tessuto sano ad entrambi i lati della massa. Insieme al tumore vengono asportati i linfonodi regionali, che saranno esaminati per escludere metastasi linfonodali.
Infine, la continuità dell’intestino viene ripristinata mediante il ricongiungimento dei monconi intestinali sani (anastomosi). Se non è possibile ricongiungere i due monconi sani del colon, il chirurgo deve confezionare una stomia: il moncone intestinale prossimale viene abboccato alla cute dell’addome permettendo una corretta espulsione delle feci, che vengono raccolte in un sacchetto apposito. Spesso la stomia è solo temporanea e la continuità intestinale viene ripristinata nuovamente mediante un secondo intervento. Tuttavia, qualche volta può essere necessario confezionare una stomia permanente.
Questo tipo di intervento può essere eseguito mediante tecnica tradizionale o con tecnica mini-invasiva (laparoscopia), che sostituisce alle ampie incisioni addominali piccoli fori attraverso i quali viene eseguito l’intervento e che permette un decorso post-operatorio più agevole (meno dolore, minori complicanze, degenza più breve). Il recupero dopo l’intervento chirurgico è ulteriormente favorito dall’adozione di protocolli di gestione perioperatoria, in grado di ridurre l’impatto della procedura sull’equilibrio fisiologico del paziente (protocollo ERAS).
Il carcinoma del colon-retto, come altre patologie oncologiche, richiede un approccio multidisciplinare che vede coinvolti gli oncologi e i radioterapisti, per pianificare la strategia terapeutica più opportuna e l’eventuale necessità di procedere con trattamenti combinati.
Tra i trattamenti disponibili, la chemioterapia svolge un ruolo fondamentale sia nella malattia operabile sia in quella avanzata non operabile. Diversi studi hanno dimostrato l’efficacia di un trattamento chemioterapico cosiddetto adiuvante, cioè effettuato dopo l’intervento chirurgico per diminuire il rischio di ricaduta. Sono positivi anche i risultati degli studi sulla terapia neoadiuvante, cioè effettuata prima dell’intervento per ridurre la dimensione del tumore e facilitare il compito del chirurgo.
Un discorso a parte meritano i farmaci biologici. Il bevacizumab è un anticorpo monoclonale, diretto contro la proteina VEGF. È indicato come trattamento per il tumore del colon-retto avanzato in associazione alla chemioterapia. Il cetuximab è un anticorpo monoclonale diretto contro la proteina EGFR ed è stato registrato per l’uso in combinazione con irinotecan (un chemioterapico classico) nei pazienti già trattati per tumore del colon avanzato, con cellule tumorali positive per EGFR. È in corso di registrazione l’erlotinib, una piccola molecola diretta contro EGFR, somministrabile per bocca.
Nei casi in cui il tumore sia già diffuso al fegato (la sede più comune di metastasi) al momento della diagnosi, la chemioterapia, eventualmente associata all’immunoterapia con nuovi farmaci biologici, viene spesso somministrata prima di altri trattamenti, con l’intento di far regredire o stabilizzare le lesioni nel fegato fino a consentirne l’asportazione chirurgica.
La chemioterapia e/o l’immunoterapia con nuovi farmaci biologici vengono inoltre impiegate nella fasi avanzate, in presenza di metastasi, con l’obiettivo di rallentare l’evoluzione della malattia.
Per stabilire se i nuovi farmaci biologici, che agiscono in modo diverso rispetto ai chemioterapici tradizionali, siano efficaci o meno in un singolo paziente, può essere indicato eseguire indagini molecolari sul materiale istologico ottenuto con l’intervento chirurgico o con una biopsia. Numerosi studi dimostrano infatti che le persone il cui tumore presenta la mutazione di un gene particolare detto KRAS non rispondono ad alcuni farmaci antitumorali mirati. Con l’esame della mutazione del gene di KRAS si evita così di somministrare ai pazienti che rientrano in questo gruppo regimi di trattamento da cui non trarrebbero alcun beneficio.
Infine, nel tumore del retto, la radioterapia sia pre sia post operatoria, a seconda delle indicazioni, svolge un ruolo fondamentale: è stato dimostrato infatti che essa è in grado di diminuire le ricadute locali e di allungare la sopravvivenza. Spesso il trattamento radiante viene associato alla chemioterapia per potenziarne l’effetto terapeutico sia in fase preoperatoria che in fase post-operatoria.